Nelle caffetterie Afgane le donne emergono dal disagio sociale

“L’Afghanistan è molto di più di ciò che possiamo vedere con gli occhi”. Queste le parole della ventitreenne coraggiosa  Gul Kazimi, che ha aperto una caffetteria a Bamyan per sole donne. Tanto coraggio e determinazione, che ha infranto uno dei tanti stereotipi che fanno dell'  Afghanistan,  uno dei Paesi peggiori al mondo in cui essere donna, e dove anche la quotidianità può rivelarsi soffocante. In un paese dove vi è una imponete oppressione maschile nei confronti delle donne  nasconoco così dei luoghi dove  le giovani donne possono essere se stesse. Sono i nuovi caffè, come quello di Gul Kazimi e come tanti altri aperti in diverse città Afgane. A Kabul, ovvero una città avvezza ai costumi occidentali per gli stranieri che arrivano nella capitale afghana da anni, da diversi anni sono nate tante caffetterie, dei luoghi dove nessuno molesta le donne per aver indossato vestiti alla moda o essere sedute con uomini. 

Bamyan invece anche se è un’importante centro culturale del paese,  non è esattamente come Kabul, ma una città  dove l'isolamento di tante donne è ancora oggi una situazione di forte disagio sociale.  Gul inizia a riflettere sulla condizione femminile nel periodo in cui ha studiato in India, dove ha conseguito una Laurea a poche centinaia di chilometri da Delhi. 

Negli anni trascorsi a Kurukshetra, ha avuto modo di confrontarsi con una realtà molto diversa da quella della sua terra di origine, respirando la libertà delle donne indiane e la loro possibilità di poter raggiungere traguardi lavorativi rilevanti. 

Rientrata in Afghanistan, Gul prende la decisione di voler contribuire a migliorare la vita delle donne, con l’assoluta consapevolezza che il suo paese non può crescere né migliorare se si continua a privare l’universo femminile della possibilità di poter esprimere idee e iniziative personali e lavorative.

Questa giovane ragazza, piena di speranze e di sogni, intuisce che aprire un caffè può regalare alle donne afghane uno spazio oltre che fisico anche, e, soprattutto, mentale dove esprimere se stesse senza paura di essere giudicate da un uomo e con la possibilità di condividere idee, di confrontarsi con altre donne e di scambiare opinioni sulle loro esperienze di vita e sul mondo.

Non dimentichiamo che la sfida di Gul è stata tutt’altro che semplice, poiché la zona di Bamyan, tristemente famosa per la distruzione delle due statue di Buddha nel 2003, è sempre sotto le attenzioni e le mire talebane.

Il Caffè, nonostante i pericoli e le mille difficoltà, non solo è stato aperto, ma ha riscosso un grande successo diventando un luogo di incontro abituale di molte donne della zona che hanno deciso di intraprendere piccole attività imprenditoriali potendo vendere, al suo interno, oggetti e manufatti e consentendo loro di guadagnare del denaro per il sostentamento delle loro famiglie.

Ma il successo più rilevante del Caffè è quello di avere sottratto all’isolamento tante donne che vivono ancora oggi una situazione di forte disagio sociale, mentre ora esiste un luogo dove possono condividere gioie e dolori consapevoli che esiste un mondo, oltre le mura delle loro case, in grado di ascoltarle e di aiutarle.

“Le donne nel mio paese hanno voglia di migliorare se stesse, dimostrando il loro talento e le loro abilità” come spesso ricorda Gul a se stessa e a chi le chiede le motivazioni di questa sfida.

Questa giovane imprenditrice, visto il successo riscosso, ha grandi speranze non nascondendo che vorrebbe trasformare questo Caffè in un “brand” da esportare in altre città afghane.

“L’Afghanistan è un mondo tutto da scoprire, che, purtroppo, non desta ancora l’attenzione della comunità internazionale”

Ma Gul Kamzi ha promesso di mostrate al mondo che il suo amato paese non è solo guerra e disperazione. E le donne, tutte le donne afghane sono pronte a dimostrarlo. Molte di queste giovani donne erano bambine sotto il dominio dei talebani, ma sono cresciute durante la riconquista dell'Alleanza del Nord, e quindi con smartphone, social media per non parlare del diritto di esprimersi liberamente, di studiare all'università, lavorare al fianco degli uomini e vivere da sole. E non riescono a immaginare di tornare indietro.

Fonte : Fondazione Pangea Onlus